La protezione dei parquet

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La buona esecuzione di un manufatto pavimento in legno, implica il corretto svolgimento di una serie di processi lavorativi ed in ultimo, ma non ultima in quanto ad importanza, la scelta di un’adeguata protezione della superficie legnosa, oggi eseguibile scegliendo tra di un vasto repertorio di prodotti, diversificato per le specifiche caratteristiche in quanto a durezza, aspetto e manutenzionabilità nell’uso. La vasta disponibilità di prodotti vernicianti ed impregnanti esistenti sul mercato e la crescente attenzione dei consumatori finali a quelli di categoria “ecologica”, mi suggeriscono di stendere queste righe con l’intenzione di riassumere le principali proprietà e quindi le differenze esistenti tra i diversi prodotti, segnalando così all’attenzione degli applicatori le loro peculiarità, con l’auspicio che essi possano meglio suggerire indicazioni e formulare consigli adeguati ai committenti, per la migliore riuscita del prodotto finito. Il contesto divulgativo mi suggerisce di svolgere una più generale premessa, alla quale ricondurre il significato e l’interpretazione dell’argomento trattato, ossia il parquet in quanto al suo contenuto significato di “manufatto per l’arredamento” della casa, è sicuramente il “primo dei mobili” ma, non è un “mobile” intendendo con ciò stigmatizzare l’atteggiamento di quei possessori di parquet di legno che, provvisti di attenzione quasi maniacale, ne fanno uso con eccessiva scrupolo e circospezione, sempre attenti di non causare “graffi o graffietti” sulla superficie ancora vergine della vernice, superando così ad ogni buon conto qualunque atteggiamento di sufficiente attenzione richiesta nell’uso, pregiudicandone inoltre l’utilizzo più genuino, con l’alto livello di comfort “erogato” dato dalla naturalità del materiale impiegato ed anche dall’ottimo rapporto esistente tra le sue superiori ed indiscutibili proprietà arredative e le modeste necessità di manutenzione. 

È ormai consolidato nel bagaglio culturale degli operatori del settore pavimenti di legno che, ogni parquet (comunque sia ultimato e protetto), abbisogna di qualche anno di uso per risultare al meglio del suo aspetto, ciò anche per la proprietà di gran parte delle specie legnose di essere fotosensibili (la componente ultravioletta della luce solare altera in diverso modo il tono cromatico del legno), ma soprattutto per la necessità di conferire nel pavimento la “patinatura” propria delle cose vissute, che, appunto solo il regolare quotidiano uso nel tempo può donare, inducendo nell’utilizzatore un crescente sentimento di “amore” per il manufatto, dovuto al rapporto di esclusiva appartenenza costituitosi, alla stregua di un abito che, nel portarlo si scopre con piacere sempre più comodo e bello da usare. La gamma di prodotti per la protezione delle superfici, propone diversi risultati d’effetto, dati dalle vernici nitrosintetiche, poliuretaniche ed acriliche (del tipo a solvente ed all’acqua), alle finiture ad impregnazione con prodotti a base oleo-resinosa ed oleo-cerosa con la possibilità d’applicazioni ad effetto “decapato” e in ultimo ma non ultimo la finitura a cera, la quale essendo la “prima” delle finiture storicamente adottate, risulta apprezzabile appieno col suo esclusivo significato di “tradizionalità” conferito nel pavimento stesso, scontando altresì una più onerosa manutenzione delle superfici, le quali abbisognano di una regolare riapplicazione di cera liquida per il “nutrimento” del film protettivo.

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Le industrie produttrici, producono delle buone e oramai sperimentate vernici cosi dette “all’acqua”, che fin dagli inizi degli anni ’80 hanno acquisito un sempre crescente settore di mercato, data la simpatia loro riservata dai consumatori finali per il “ridotto impatto ecologico” e minimamente anche per il loro aspetto finito vagamente assimilabile alle finiture ad impregnazione e cera, che ne permettono la surrogazione da parte di qualche applicatore più malizioso. Voglio altresì puntualizzare che l’effettiva proprietà ecologica di tale vernice è la riduzione del VOC (ovvero solvente organico volatile) fino al 90%, che si esaurisce nella sola fase dell’applicazione, e non certo nel successivo uso della pavimentazione dato che anche le vernici cosi dette “all’acqua”, come le vernici tradizionali “a solvente” sono composte dalla resina, il solvente (acqua e solventi organici), le cariche inerti, i pigmenti ed eventuali additivi, tali da caratterizzarne l’uso applicativo.

Una volta quindi completato il loro ciclo di polimerizzazione (con durata di poche ore), come tutte le altre vernici tradizionali esse hanno un “rilascio in ambiente” di sostanze inquinanti (VOC), tale da risultare ampiamente trascurabili nel contesto del microclima ambientale e completamente insignificanti per lasalubrità e l’igiene del vano di destinazione, dato per certo che le uniche sostanze provviste di potere cancerogeno (per es. toluene, xilene, isocianati) sono state praticamente eliminate e sostituite da altri solventi, o quand’anche presenti, ridotte nelle quantità minime previste dalle normative in vigore sulla materia. Le resine che sono utilizzate, per la produzione delle vernici all’acqua, sono quindi delle emulsioni (delle goccioline finissime di dimensioni micrometriche disperse e separate in acqua), tali da conferire loro un aspetto tipicamente “lattescente” (il latte, è infatti una emulsione di grassi e proteine) esse sono inoltre il componente che maggiormente differisce rispetto alle analoghe costituenti delle vernici a solvente. Si possono distinguere in emulsioni acriliche (con proprietà fisico-chimiche diversificate), emulsioni poliuretaniche (ottenute con complesse reazioni chimiche, dotate di eccellenti prestazioni d’elasticità e resistenza chimica), emulsioni di copolimeri acrilico/poliuretanici (con l’ottimizzazione delle proprietà chimiche date dalla loro miscelazione) e le emulsioni acriliche al solvente, catalizzate con raggi UV (ultravioletti) queste ultime solo per applicazioni in ciclo industriale.

Nelle vernici tradizionali (solvente), la formazione della pellicola avviene per un processo chimico di polimerizzazione indotto dall’evaporazione del solvente e/o dalla catalisi con appositi induritori, mentre altresì nelle vernici costituite da dispersioni acquose, ciò avviene a seguito della evaporazione dell’acqua, ed il fenomeno chimico della coalescenza : le microscopiche goccioline adiacenti si deformano e si fondono le une alle altre, sino a formare, ad evaporazione ultimata dell’acqua, un film omogeneo di resina, il quale risulterà di ottima resistenza e composizione per la fusione in unico corpo delle micro-sfere, così saldate grazie alle forze di capillarità che ne regolano il processo chimico. Nei sistemi bicomponenti delle vernici all’acqua, gli aspetti fisici (evaporazione e coalescenza) sono integrati da una reazione chimica indotta dall’aggiunta del catalizzatore, che non a caso è aggiunto in quanto consente di ottenere “performance” del film sicuramente superiori e tali da assimilarli agli standard prestazionali consentiti dai sistemi poliuretanici a solvente, quest’ultimi oramai consolidati nell’esperienza quotidiana di tutti i posatori e per questo solo apparentemente dimenticati nella presente memoria.

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Altra categoria di prodotti, è quella dei sistemi ad impregnazione con sostanze a base oleosa ed oleocerosa, che sostanzialmente si differenziano dalle verniciature sopradescritte per il minimo spessore e maggiore rinnovabilità del film protettivo: tali sistemi, sfruttano, infatti, la proprietà del supporto legnoso di adsorbire liquidi e nelle loro diverse applicazioni consentono anche l’esecuzione di fondi “tonalizzati”, con gradazioni di diverse intensità e/o addirittura originali “cromatismi”, effetti “decapè” e “sbiancanti” tutti graduabili per l’intensità a seconda delle modalità applicative e sempre più richiesti nella progettazione di arredo per interni. 

La ricerca indotta nelle soluzioni fornite dai sistemi ad “impregnazione”, sembra promettere risultati di sicuro interesse, data la forte differenziazione dai sistemi tradizionali di verniciatura consentendo, il più naturale mantenimento del supporto legnoso con protezioni a bassa “filmazione protettiva”, privilegiandone ad esempio, con applicazioni “sbiancanti” la sua figura o disegno, il grado di un’eventuale porosità od effetto (p.e. la spazzolatura) che trova su di alcune specie conifere (il Larice, è una specie con elevate peculiarità applicative) un’eccellente valenza. Ancora maggiore è la potenzialità dei sistemi ad “impregnazione”, considerate le possibilità applicative per l’ignifugazione delle superfici legnose di qualunque tipologia e specie, per il loro impiego in strutture con proprietà ignifughe, destinate al raggiungimento di certificazioni REI. In realtà, l’interesse dato ai sistemi ad “impregnazione”, è certamente fatto di prevalente significato tecnico, ma anche culturale, essendo accompagnato da una modesta ma crescente attenzione degli operatori i quali, rispondono condizionatamente ad un’esigenza dei consumatori di appropriarsi prodotti sempre più naturali e più rispettosi dei materiali e dell’ambiente, questo in un comprensibile avvicendarsi delle diverse ed emergenti tendenze di consumo, dato per certo che i nuovi sistemi di finitura accennati in questo paragrafo, sono oggi apprezzati da una crescente quota di “utenti del parquet”, sicuramente consigliati nella scelta finale da professionisti sensibili alle nuove tecnologie.

Vero per questo, che le industrie produttrici hanno registrato negli ultimi anni un lento ma progressivo declino dei consumi delle vernici poliuretaniche, ed ancor più per le elaborate vernici a base di melamminaformaldeide e simili, dovuto inequivocabilmente ai problemi d’ecocompatibilità (leggasi inquinamento ambientale per rilascio di VOC e soprattutto formaldeide) ed alla comparsa dei nuovi sistemi da me ricordati e per l’appunto, più ecologici e quindi graditi. È in ogni caso da ribadire, che l’applicatore scrupoloso, avrà sempre cura di bene leggere e considerare nel momento dell’uso quali sono le prescrizioni date dalle case produttrici dei sistemi vernicianti che va adottando, ricordandosi egli sempre e comunque che i processi chimici regolanti la polimerizzazione della resina, sono stati studiati per applicazioni in condizioni d’ambiente “standard”, con temperatura a ca. 20° C e normale pressione atmosferica, poiché al sensibile variare di questi parametri variano i tempi di reazione chimica e con la consistenza del film anche il risultato finale, oltre a ciò deve essere anche verificata la compatibilità del sistema gradito al committente, con la quantità delle superfici da verniciare, eventuali incompatibilità connesse alla specie legnosa impiegata (vedasi il precedente numero de “Il posatore”, per un contenzioso sorto su di un parquet tonalizzato bianco) considerando appunto che il risultato ottenibile facilmente su di un campione di 70×70 cm. non è altrettanto facilmente ripetibile su superfici estese, peggio ancora se risultano prive di soluzione di continuità tra i vani.

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Altra tipologia di sistema è dato dalle cere, costituite da dispersioni di cere sintetiche e/o naturali in solventi idrocarburi o base di essenza di trementina, esse sono fornite allo stato solido (per applicazioni a caldo previa fusione), allo stato di pasta viscosa (per applicazioni a freddo) ed allo stato liquido per la successiva “nutrizione” del film ceroso nella regolare necessaria manutenzione, elemento comune a tutte è la ridotta resistenza all’aggressione di sostanze liquide alcaline, comunque sopportabile nel “bilancio di esercizio”, per la loro buona rinnovabilità. Elemento comune al sistema “a cera” è la sua forte tradizionalità conseguente all’uso dato fin dalle origini dei parquet, oltre all’estrema semplicità applicativa, tale condizione ha costituito peraltro una “falso” storicamente dato all’esperienza comune, ovvero che la protezione a cera sia maggiormente traspirante, e quindi meglio consenta di svolgere al legno quel modesto ma continuo scambio molecolare di particelle acquose con l’ambiente.

Ebbene questo dato è consolidato nella coscienza di tutti per la normale e regolare presenza di spazi e fughe tra le doghe e/o tavolette dei vecchi pavimenti, montati su “asfalto colato”, “sabbia”, o “chiodati”, dove la cura delle connessioni era lasciata al caso e le “lamature” fatte sulle superfici finite erano imperfette anche per l’impiego di materiale legnoso non ottimamente stagionato, che subiva dopo la protezione successivi assestamenti. Posso infatti anticipare che, recenti misurazioni della “traspirazione” fatte in laboratori di ricerca con analoghi supporti legnosi campionati con le diverse tipologie di protezione rammentati, hanno sorprendentemente evidenziato una analoga capacità di cessione dell’umidità, tra le tradizionali vernici a solvente (con film plastificante), ed il sistema a cera, dimostrando quindi che la sua presunta capacità di consentire la migliore “traspirazione del legno” era altresì dovuta solo per gli spazi presenti tra doghe e lamelle, e quindi da ricondursi propriamente alla sola tipologia di costruzione anticamente impiegata, ben diversa dalle possibilità odierne date dai moderni sistemi di essiccazione, levigatura, rasatura e protezione. E’ chiaro quindi che i sistemi verniciati “plastificanti a solvente”, risultano per le loro caratteristiche di resistenza, effetto coprente e scarsa manutenzione, sicuramente in testa all’elenco dei diversi sistemi, riferendomi con questa (peraltro discutibile ed opinabile) affermazione ad un contesto ambientale con destinazione civile/residenziale, dove il parquet è usato per la prerogativa d’arredamento, liberamente interpretato senza soggezione economica, stilistica-architettonica.

Questa memoria, non poteva concludersi senza di un accenno ai principali difetti di verniciatura nei quali l’applicatore poco scrupoloso può incorrere, e che si possono riepilogare quattro punti:
A) FORMAZIONE DI BOLLE SUL FILM VERNICIATO
Possono essere causate dall’impiego di diluenti non adatti od al mancato rispetto dei tempi di pre-reazione eventualmente richiesti dal produttore (per le vernici bicomponenti).
B) PUNTINATURA DEL FILM
E’ normalmente causata dall’incompleta asportazione della polvere, od anche dalla presenza di corpuscoli di vernice residua sugli attrezzi d’applicazione del prodotto verniciante. L’applicatore avrà cura di evitare di indossare maglioni di lana o a composizione mista, date le proprietà elettrostatiche di tali materiali, ed il conseguente inquinamento sul piano predisposto alla verniciatura, con una solo apparente pulitura ed aspirazione delle polveri. Oltre alla esecuzione di una completa e scrupolosa pulitura con aspirapolvere industriale, altresì importante assicurarsi il minor movimento d’aria nei locali e l’assenza di spifferi o correnti circostanti.
C) SFOGLIAMENTO DEL FILM
Tale fenomeno è da ascriversi sostanzialmente al mancato “accorpamento” dei diversi strati di vernice, e può essere dovuto ad una carteggiatura troppo superficiale e non uniforme, ad una esecuzione in ritardo rispetto ai tempi di sovrapposizione massimi previsti dalle vernici od anche ad una pulizia poco accurata, in particolare caso quando che si proceda al ripristino della vecchia finitura, predisponendo con la carteggiatura a grana fine il film esistente, per un rinnovamento del grado di opacità ed il miglioramento della consistenza totale del film plastificante, senza la scrupolosa applicazione di un diluente per lavaggio della superficie con idoneo tampone utile alla eliminazione delle tracce di grasso e/o inquinanti siliconici.
D) SCHIVATURE
Oltre alle schivature che possono essere causate distrattamente dall’applicatore, qualora operi in condizioni di non sufficiente illuminazione, semplicemente mancando di “stendere” in modo incrociato il prodotto verniciate od impregnante, esse sono dovute alla mancanza di bagnabilità del supporto legnoso, imputabile alla presenza di sostanze grasse ed oleose di alcuni legni tropicali (estrattivi), che “migrano” ed affiorano in superficie per i solventi contenuti nelle vernici stesse, oltre a fenomeni di inquinamento da siliconici, sulla superficie da trattare.

Un fenomeno opposto alla schivatura, appare l’eccessiva quantità di fondo verniciante, che quando applicato in abbondanza, non svolge in modo dovuto l’effetto “preparatorio” richiesto diventando anziché un prodotto con effetto “turaporo”, un consistente film plastificante, peraltro riduttivo della qualità finale dell’intero ciclo protettivo, a ricordare con questo breve inciso, che il “fondo” deve essere usato nella giusta diluizione prevista e “tirato” sulla superficie, con rapidità (evitando pericolose giacenze prima della rullatura). Ritengo di accennare al fenomeno del viraggio di colore d’alcuni legni, soprattutto tropicali, non elencandolo alla stregua di un difetto di verniciatura o di impregnazione, in quanto è da considerarsi che la protezione di certe specie legnose (Doussiè, Mutenye, Cabreuva, Wengè, Padouk ed altri) sia da precedersi da una campionatura di verifica del tono di colore, preliminare al ciclo d’applicazione previsto, e quindi da considerarsi come una condizione perfettamente prevedibile ed indirizzabile al risultato richiesto, diversamente da un difetto dato da cause indipendenti dalla volontà dell’applicatore.

LE PRINCIPALI PECULARITA FISICO-CHIMICHE DEI DIVERSI SISTEMI CITATI
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COMPARAZIONE DELLE CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE TRA I DIVERSI SISTEMI DI PRODOTTI VERNICIANTI
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Alessandro Romiti 

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