A partire dall’errata applicazione di intonaci prospicienti, una serie di imperizie da parte di un’impresa edile danneggia in modo irreparabile la colorazione delle travi di un tetto.
L’uso delle coperture di legno lamellare vede un crescente sviluppo per numerose motivazioni legate all’efficienza funzionale del materiale e alla naturalità.

Il legno conferisce all’ambiente di copertura queste proprietà.
Queste caratteristiche lo rendono decisamente un materiale ideale per i committenti.
Con tale proposta progettuale, prendono due piccioni con una fava.
La rispondenza funzionale e le proprietà arredative del volume sottostante.
Determinante l’aspetto finale del rivestimento delle travi di un tetto, ottenuto grazie ai prodotti impregnanti cosiddetti “biopreservanti” e tonalizzanti.
Questi conferiscono una colorazione bruna con diverse gradazioni in relazione alla concentrazione del composto a base di ossido di ferro in soluzione, utilizzato appositamente per scurire la superficie.
Il prodotto impregnante è generalmente un solvente con blandi effetti fungicidi (peraltro inutili alla preservazione del legno.
Si tratta di manufatti posti in ambienti ben areati e quindi indenni dagli attacchi di muffe).
Presenta modeste concentrazioni di una sostanza tonalizzante utile a raggiungere la concentrazione di colore di soddisfazione del cliente.

Colorazione, lavaggi e riflessioni riguardanti le travi di un tetto
In questo caso il colore di tonalizzazione, sempre a proposito degli interventi alle travi di un tesso, era stato prima campionato e mostrato al cliente, che lo aveva attentamente valutato.
Tenendo in considerazione la vista d’insieme di tutta l’ampiezza della superficie di copertura e aveva scelto il color miele chiaro.
La vicenda si scatena per l’imperizia dell’impresa edile nell’applicazione degli intonaci alle parti prospicienti le falde di copertura del tetto.
Non avendo nessuna protezione, presentavano delle tracce residue di malta d’impasto e di acqua per la stesura della finitura.
L’intradosso della copertura aveva diffuse ed evidenti orlature.
Appena rimosse con un panno umido, si spandevano nelle parti circostanti sviluppando chiazzature con sfondo biancastro, allargate dalla manipolazione del lavaggio.
Inoltre la superficie scabra del supporto rendeva difficile rimuovere le polveri.
L’impresario, in un crescendo di proteste e contestazioni del committente, sempre più preoccupato per l’aspetto degradato del suo tetto, ha quindi provveduto a una più efficace opera di pulitura e questa volta.
Per essere certo di recuperare completamente il supporto, preparò per lavaggio una leggera soluzione di acido cloridrico al 20%, impiegato in edilizia per il recupero delle superfici sporcate da residui di calce.

Travi di un tetto: continua l’approfondimento di “Parola al Perito”
L’effetto ottenuto sviluppatosi subdolamente nella notte successiva, all’insaputa di tutti è stato ben altro.
Con effetti drammatici per la famiglia dei committenti che, nel riscontrare il viraggio grigio-carbonizzato, avevano subito capito di essere caduti direttamente dalla padella alla brace.
A causa di un errore che definire semplice imperizia è certamente eufemistico.
Le scuse dell’impresario, sorpreso dell’esito della pulitura, che anziché risolvere il problema lo aveva aggravato.
Con una colorazione che richiedeva ormai un intervento ben più pesante di un qualunque tipo colorazione tonalizzata, non avevano fine.
Il parere del tecnico della società distributrice fu definitivo.
Rimuovere il prodotto scuro (impregnato nel supporto) con una levigatura per recuperare il supporto legnoso vergine e ripristinare il colore con il prodotto impregnante originario.
Infatti la tonalità chiara può sempre essere scurita, ma è impossibile – o difficile – il procedimento inverso.
Va ricordato che l’uso di soluzioni di schiarimento del supporto (perossido di idrogeno 120 volumi in soluzione d’ammoniaca del 50%) attivano processi di ossidazione.
I risultati non sono facilmente prevedibili perché condizionati da numerosi fattori, come la concentrazione di estrattivi o resine del legno trattato.
L’impresario intervenne quindi con la levigatura e la carteggiatura nelle porzioni
interessate.
Ma, ancora una volta, non aveva colto come la procedura richiedesse attenzioni imprescindibili.
Infatti le superfici delle doghe usate per la copertura erano state originariamente finite con una levigatura a rullo utilizzando una macchina calibratrice.
Questo aveva permesso l’ottenimento di un supporto regolare, con una porosità ben definita data dal tipo di grana abrasiva e di azione di levigatura.
Dal problema ai costi, concludiamo l’approfondimento in tema di Travi di un tetto e… lavaggi
E infatti i risultati non hanno soddisfatto il cliente, che non ha mancato di esprimere le contestazioni sulla qualità della finitura.
L’intervento è stato ritenuto non sufficiente in relazione alle condizioni originarie, è l’impresa è stata impegnata in una salata transazione stragiudiziale.
Dovrà infatti coprire costi diretti (interventi di lavaggio con acido e ritonalizzazione previa levigatura) e
indiretti (adeguato indennizzo per la cosiddetta “riduzione proporzionale del prezzo”).
Ma questa caratteristica non poteva essere più ripetuta sul sito.
La nuova grana della carta impiegata e l’utensile abrasivo (una modesta levigatrice orbitale) non consentivano levigature con porosità regolare e continua.
Il danno aveva quindi portata definitiva, poiché non sarebbe stato possibile recuperare il sottofondo vergine e ripristinare lo stesso tipo di colorazione tonalizzata.
Articolo di Alessandro Romiti – Studio Romiti Legno – Perito del Legno